mercoledì, agosto 22, 2007

Palle Ovali

Sono tornato, ma l'umore non è ancora al 100%; però ho voglia di scrivere, ma il tempo è tiranno. Stiamo preparando il trasloco - e alcune incazzature derivano anche da questo. Stasera preparando i pacchi mi è capitato tra le mani un Linus di un paio d'anni fa, e sfogliandolo ho trovato un racconto sul rugby; tra un mese ci sono i mondiali, ho pensato di riportarlo qui, le storie di sport se ben narrate sono tra le migliori, a maggior ragione le storie di rugby che è uno degli sport più belli e intensi e con migliore potenziale narrativo. E poi Samoa oltre a essere un luogo di rugby, è uno dei luoghi frequentati da quel signore lì che vedete ritratto nel mio profilo. Il racconto si chiama "Shaka Sola", la rubrica è Ovalia, l'autore Marco Pastonesi:




Mi chiamo Shaka Sola, ho ventotto anni, e vengo da Samoa. A dire la verità, abito a Wellington, in Nuova Zelanda, ma a Samoa sono nato. E' il destino dei samoani: nascere nel posto più bello della Terra, e poi andarsene in giro per il mondo, lontano da casa, un'ora di nave o un giorno di aereo. A Samoa ci sono centomila samoani, nel mondo un milione. Come se sulle nostre isole non ci stessimo, come se tutti insieme le facessimo affondare. E' vero che siamo grandi e grossi, ma un'isola non va mica giù come se fosse un canotto. Anch'io sono grande e grosso. Lo ero fin da piccolo. E' che lì, al momento, non te ne accorgi di essere grande e grosso, perchè anche gli altri ragazzi hanno quelle dimensioni, ti specchi nelle loro facce piene come la luna, nelle loro schiene ampie come scogli, nelle loro ginocchia gonfie come palloni. A Samoa, quando devi decidere quale sport fare, c'è solo l'imbarazzo della scelta: o il rugby o il rugby. Io ho scelto il rugby. Potevo anche scegliere di non fare niente, cioè tutto: nuotare, remare, correre, saltare, ascoltare la musica o suonarla. Invece no: rugby. Vedendomi adesso, pensereste che, appena entrato in campo, l'allenatore mi abbia piazzato in prima linea, pilone. Macché. Ala. All'inizio ti mettono ala perchè lì fai meno danni, poi guardi gli altri che giocano e qualcosa impari anche senza che nessuno te lo debba dire. Poi, di solito, si scala: da ala a centro, da centro a terza linea. Io, da ala sono diventato centro, da centro sono emigrato in panchina. Passare, placcare, sostenere, poi sedere, incitare, a volte entrare. Bello il rugby. Un compagno fa una prodezza, e il merito è anche tuo. Tu fai una fesseria, e la colpa è di tutti. Anche di quelli in panchina. Un giorno mi sono stufato di giocare con gli altri solo i terzi tempi, quelli che si disputano a tavola dopo la partita, perchè i primi e i secondi tempi li guardavo e basta, e sono passato all'atletica. Niente corse e salti, a forza di terzi tempi non avevo più il fisico, ma lanci. La mia specialità è il peso. Una palla di ferro da gettare il più lontano possibile. Campione di Samoa, primatista nazionale, medaglia d'oro ai South Pacific Mini Games. Non so se mi spiego, Dunque qualificato per i Mondiali di Helsinki, in Finlandia. Parto da Palau, staterello della Micronesia, faccio scalo a Manila, nelle Filippine, ma lì è un gran casino, faccio confusione, perdo un po' di tempo al bar, e mi salta la coincidenza con il volo per Francoforte, in Germania. Pazienza. Prendo il volo successivo. Ma è ventiquattro ore più tardi. A Francoforte sto bene attento, al bar stavolta non mi fermo, così prendo giusto l'aereo per Helsinki. Con un taxi arrivo allo stadio. Mi presento, mi danno un pass, entro, chiedo quand'è la mia gara. "Il peso? Ieri", mi fa una signorina bionda e magra. Pazienza. "Quand'è il giavellotto?", chiedo alla signorina bionda e magra. "Oggi. Oggi pomeriggio". Così m'iscrivo, mi cambio, mi faccio prestare un giavellotto e, già che ci sono, mi faccio dire come s'impugna e come si lancia. Niente a che vedere con il peso. Il peso lo tieni stretto, vicino, attaccato, fra collo e mascella: ti pieghi e poi lo getti. Il giavellotto è più scomodo, rimane a sé stante, e presuppone una rincorsa, una velocità, un dinamismo che non conoscevo più dai tempi del rugby, finchè lo fai decollare come se fosse un aliante. E la traiettoria, mi sembra di capire, è quella che regala un volo di linea o charter, transoceanico o locale. Il primo lancio non è granché: 38 metri. Il secondo è già meglio: sui 41. Il terzo non è niente male, peccato che mi lasci prendere dalla velocità e la rincorsa finisca oltre una linea bianca. A parte il fatto che la storia della linea bianca non me l'ha spiegata nessuno, comunque fa niente. Peccato, però, perchè secondo me quel lancio era di almeno 45 metri. Adesso, comunque, sono primatista samoano anche di giavellotto. Stasera poi esco con quella signorina bionda e magra. A Wellington ho una moglie e una figlia di due anni. Ma le finlandesi sono proprio belle.








2 commenti:

quel che sapeva frà ha detto...

Prima cosa letta in questa domenica mattina di sempre più fine estate. e mi è piaciuta assai, merci!

Enzo ha detto...

de rien! (si dice così? :-) )
altra bella storia: Jonah Lomu, tornato al rugby dopo un trapianto di reni: http://www.youtube.com/watch?v=9rTttFOWJV4